Succede che noi italiani quando siamo scherniti e vilipesi per essere associati a episodi di cui esser poco fieri (fatti di mafia, calcioscommesse, scandali politici), ci sentiamo feriti nell’orgoglio e reagiamo alle critiche concentrandoci sull’obiettivo da raggiungere. A esser sotto pressione riceviamo quella carica emotiva che ci consente di far bene, diventiamo bravi e tiriamo fuori il meglio di noi stessi. È successo più volte nel pallone, quando, pur partendo sfavoriti e perdenti, siamo riusciti a primeggiare in prestigiose competizioni. Purtroppo, anche sforzandomi, non riesco a trovare altre situazioni, diverse dal pianeta sport, dove abbiamo così ben figurato. Non mi verrebbe, invece, assolutamente difficile citare esempi per i quali, a voler usare degli eufemismi, non abbiamo di certo brillato in buone maniere o in azioni di governo probe, tempestive e risolute.
Eppure nell’immediato secondo dopoguerra, siamo riusciti a trasformare un paese distrutto e arretrato in una potenza industriale. Ma abbiamo fatto una cosa a metà, un bicchiere mezzo pieno, perché a un Nord moderno e progredito abbiamo opposto (e trascurato) una questione mai risolta: il mancato sviluppo del Mezzogiorno d’Italia. C’è chi sostiene che l’industrializzazione del Settentrione abbia potuto realizzarsi anche perché il Sud è stato utilizzato come serbatoio di manodopera e mercato di sbocco. Non è nell’intento del lavoro enunciare le ragioni del mancato sviluppo meridionale, pure perché ritengo (così come si può desumere dal precedente articolo) che non ci sia una causa ben definita, ossia ci sono delle concause derivate, riconducibili a una precisa volontà politica, che ci hanno restituito un’Italia unita con lo sputo e ancora tanto bisognosa di qualche solido fissaggio. Senza troppi giri di parole, però, mi sentirei di affermare che, se si fosse voluto, la “questione meridionale” sarebbe una faccenda già chiusa ma, siccome il problema tuttora persiste, è tempo di porre definitivo rimedio e sostenere senza tentennamenti il rilancio del Sud. Così facendo potremmo dimostrare che, quando ci troviamo in difficoltà, sappiamo far bene anche fuori dal calcio, ma soprattutto (e l’occasione è ghiotta), perché il risanamento del Mezzogiorno garantirebbe, altresì, la soluzione dell’attuale crisi che ci attanaglia.
Mettendola sul principio del tornaconto economico mi accingo a descrivere la fattibilità dell’operazione. Un imprenditore trova la convenienza a costituire un’impresa quando pensa di poter conseguire dei profitti, che arriveranno, appunto, se i ricavi derivanti dalla gestione supereranno i costi. I ricavi sono degli obiettivi di vendita che un’azienda si prefigge di raggiungere in un determinato periodo di tempo; sono un punto di arrivo e sono fortemente condizionati dal gradimento dei consumatori e dalla situazione del mercato. I costi sono un punto di partenza obbligato che risentono in misura minore dei fattori esterni e, se adeguatamente ottimizzati, originano un vantaggio competitivo (produrre un bene equivalente alla concorrenza spendendo però di meno).
Dando per scontato che, soprattutto in tempi di crisi, a parità di qualità il consumatore acquisti il prodotto con il prezzo più basso, ridurre i costi complessivi genera, quindi, anche un incremento delle vendite e, conseguentemente, maggiori utili. Un’impresa nello svolgimento della propria attività deve sopportare, oltre ai costi della gestione caratteristica (costi legati alla specifica attività aziendale), almeno gli oneri per gli interessi passivi e per le imposte. Se un imprenditore si vedesse eliminati – o ridotti di molto- tali costi finanziari e fiscali (mi riferisco a Ires, Irap e interessi sui prestiti), riceverebbe un incentivo talmente allettante e proficuo da invogliarlo a creare o spostare un’attività produttiva nell’area che gli consentirebbe di usufruire di tale beneficio.
Quest’area si potrebbe far coincidere con il Mezzogiorno; in tal modo lo Stato, a costo zero, assisterebbe al tanto sospirato rilancio del Meridione e, sfruttando i benefici della conseguente crescita, i governanti potrebbero gloriarsi per aver trascinato l’intera nazione a una rassicurante distanza dal baratro. Lo Stato, per facilitare l’insediamento di nuove imprese, assumerebbe l’impegno di diminuirne i carichi amministrativi per la costituzione e assicurerebbe la presenza di un sistema bancario particolarmente attento alle esigenze del territorio. Ricerca, liberalizzazioni e formazione dovrebbero essere delle priorità che darebbero alle imprese la possibilità di poter contare su prestazioni professionali innovative, convenienti e qualificate. La presenza della Pubblica amministrazione nella realizzazione delle infrastrutture necessarie allo sviluppo, insieme al fattore crescita, potrebbero, dopo due promesse al vento (la prima negli anni 50 contenuta negli obiettivi del piano Vanoni; la seconda è storia recente), creare finalmente quel milione di nuovi posti di lavoro.
L’incremento dell’occupazione farebbe crescere i consumi e, con le maggiori entrate che l’erario incasserebbe dalle aumentate negoziazioni, lo Stato sarebbe abbondantemente ripagato delle spese sostenute per l’esecuzione delle opere pubbliche (magari in parte già coperte avendo adoperato fondi europei altrimenti inutilizzati). Non mi si obietti che la presenza della criminalità organizzata rappresenterebbe un grosso freno allo sviluppo, semmai è vero il contrario; il risanamento contrasterebbe l’attecchimento delle mafie perché la malavita prospera e trova manovalanza principalmente nelle aree degradate e con un elevato tasso di disoccupazione. Le imprese non avrebbero da preoccuparsi nemmeno dei rischi derivanti da un eventuale eccesso di manodopera, perché l’attuale governo, con la riforma del lavoro, ha già fornito agli imprenditori uno strumento di dismissione dei dipendenti; con la modifica dell’articolo 18, infatti, l’introduzione della flessibilità in uscita permette, di fatto, alle imprese di poter adeguare la forza lavoro alle specifiche necessità aziendali.
Insomma le condizioni affinché il Meridione diventi un’area attrattiva per le aziende, ci sono o possono essere create facilmente. La volontà politica a perseguire l’evoluzione e il risanamento del Mezzogiorno, però, ancora una volta, manca o non si avverte. Che risolvere i problemi del nostro Paese non rientri tra i compiti della politica?
Salvatore Carrano
14 agosto 2012