I due trattini orizzontali e paralleli, posti al centro del simbolo dell’euro, indicano la stabilità del valore della moneta nel tempo. La Bce, perseguendo il motto  “bassa inflazione a qualsiasi costo”, ha onorato il significato del simbolo garantendo, fin dalla nascita, la solidità della valuta. Partendo da questa premessa vorrei porre l’attenzione su due aspetti: il primo, consuntivo e cioè quanto l’euro ha contribuito al rafforzamento dell’Unione europea (e con quali conseguenze), il secondo, preventivo, ossia se c’è la convenienza a salvare la nostra moneta. Partiamo dal primo.

L’organismo centrale ha scrupolosamente mantenuto bassa l’inflazione imponendo, però, delle misure restrittive che hanno causato una diminuzione dei tassi di crescita e un persistente aumento della disoccupazione. La Bce si è occupata unicamente della lotta all’inflazione e della stabilità monetaria, non si è minimante curata di mantenere una moderata disoccupazione, non ha favorito la crescita economica, ha sottovalutato il mancato contenimento del debito pubblico, non si è sforzata di garantire un’equa politica dei redditi e poco ha fatto per sostenere l’equilibrio dei conti con gli stati esteri. Questi ultimi cinque obiettivi economici erano affidati invece ai governi nazionali. L’unica vera unità sovranazionale, la Bce appunto, ha pienamente assolto i suoi compiti, mentre la mancata unione politica in Europa, portava, per contro, a decisioni separate, spesso originando effetti negativi o conflitti sugli obiettivi interni degli altri paesi. Inoltre, alcuni stati hanno operato delle scelte prevalentemente in base al consenso, non tenendo conto delle misure realmente necessarie per raggiungere i traguardi prefissati. Ecco quindi il verificarsi di governi forti e responsabili che, avendo preso decisioni qualificate e lungimiranti, mantengono i conti a posto e affrontano (e superano) la crisi senza pagare un prezzo esorbitante in termini di tensioni sociali e di sacrifici economici. I governanti italiani, indaffarati soprattutto a garantire la propria sopravvivenza e gli esclusivi privilegi, si sono mostrati assolutamente incuranti del dovere di risanare il divario con i paesi più virtuosi; anzi, le ricorrenti violazioni dei patti sui conti pubblici e le numerose procedure d’infrazione hanno, di fatto, aumentato il distacco e le disparità, sia economiche che di benessere, con tali stati. Non è un caso se il differenziale dei tassi con la Germania supera abbondantemente i 400 punti. Come se non bastasse, la riduzione delle politiche nazionali protezioniste, favorendo la liberalizzazione, ha consentito di delocalizzare o esternalizzare la produzione nei paesi emergenti. Le imprese, sfruttando dapprima i vantaggi della moneta forte nel sostenimento dei costi e utilizzando successivamente l’Europa come mercato di sbocco, hanno realizzato sostanziosi profitti con le vendite. Ovviamente la delocalizzazione comporta sì un aumento di utili per le aziende, ma incide negativamente sulla crescita e sull’occupazione.

Volendo effettuare una valutazione degli effetti dell’euro dai risultati raggiunti si può indubbiamente affermare che, a parte aver beneficiato della stabilità valutaria, almeno in Italia e forse anche a causa della crisi, dall’introduzione della moneta unica le cose non sono di certo cambiate in meglio.

A scanso di equivoci, però,  tengo subito a precisare che se non ci fosse stato l’euro staremmo di gran lunga peggio, non saremmo sull’orlo, bensì sprofondati nel baratro. Non solo ci mancherebbe la valuta forte, ma, in totale assenza di freni inibitori, i nostri irresponsabili governanti ci avrebbero portato alla rovina, al completo sfacelo. 

Non addossiamo all’euro colpe che non ha, in definitiva la moneta unica restituisce quello che le è stato chiesto: stabilità del valore e oltretutto contribuisce da sola (o quasi) al rafforzamento dell’Ue. Proprio così, quel minimo di integrazione europea che si è avuta è avvenuta con l’economia e non con la politica. Si deve andare oltre! Una comunità realmente unita utilizza la politica per definire gli obiettivi e l’economia per studiare il modo più efficace per realizzarli; non il contrario. L’Europa politica fatica a nascere e i singoli stati soffrono la mancata integrazione; o si fa l’Europa o si rinuncia all’unione. Non ha senso tenere in vita un costosissimo Parlamento europeo sapendo che le decisioni politiche spettano ai governi nazionali. Se manca la risolutezza di costruire l’Europa politica, teniamoci (salviamo) solamente la parte buona (l’euro), concentriamoci unicamente sugli specifici problemi nazionali, usiamo i rigidi parametri per la permanenza nell’euro come deterrente alla dissolutezza di governo e abbandoniamo definitivamente – magari con tanti rimpianti – il sogno dell’unione.

Salvatore Carrano 10 luglio 2012