Nella classificazione del debito pubblico si fa differenza tra debito redimibile e debito irredimibile: nel primo caso lo stato si impegna, oltre a pagare gli interessi, a rimborsare, alla scadenza o gradualmente, il capitale avuto in prestito; nel secondo caso lo stato si obbliga a corrispondere gli interessi, ma, per il rimborso del capitale, se ne riserva la facoltà senza stabilirne tempi e modalità di restituzione. Il debito redimibile è un’obbligazione, mentre quello irredimibile rappresenta una rendita.

In Italia il debito pubblico redimibile, di fatto, non è mai esistito e per tale ragione l’importo dell’obbligazione ha assunto proporzioni talmente smodate da costringere i governanti a varare misure di contenimento della spesa così eccessive da diventare insopportabili per le fasce di popolazione con redditi medio-bassi. Supponendo che una famiglia ricorra per l’acquisto di un bene di consumo durevole all’accensione di un mutuo, per la sua restituzione, pattuisce con il creditore una rateizzazione del rimborso. Un’impresa, per l’acquisizione dei fattori produttivi a lungo ciclo di utilizzo, farebbe lo stesso contabilizzando nella gestione l’ammortamento annuale del finanziamento esterno e il costo degli interessi.

Lo Stato italiano, invece, non ha previsto nessuna procedura per il rimborso definitivo del prestito e per restituire il debito in scadenza, ricorre puntualmente all’emissione di nuove obbligazioni. Ma questa modalità di rinnovo perenne è un’evidente variante di irredimibilità, tra l’altro molto pericolosa perché, condizionando il piazzamento dei titoli alla discrezionalità dei creditori,  lo Stato cede in ostaggio ai potenziali sottoscrittori la propria solvibilità. Se poi i prestatori hanno la possibilità di praticare il ricatto attraverso le agenzie di rating, allora l’obbligazione si trasforma, da debito redimibile, a rendita perpetua con tasso pilotato e padroneggiato. E sono costi esorbitanti per interessi e debito galoppante.

Se volete comprare qualcosa che non è in vendita a un prezzo che sia il più basso possibile, prestate dei soldi al Paese proprietario del bene che volete acquistare. Continuate ancora a prestargliene fino a quando il debitore sarà in difficoltà e a quel punto fatene quel che volete, imponetegli i vostri ministri, i vostri tassi e le vostre condizioni. E se si ribellerà, sarà isolato con l’imposizione di pesanti  sanzioni commerciali che lo condurranno alla rovina.

Quale governo avrebbe interesse a introdurre un prelievo forzoso sui conti correnti? Quale parlamento arriverebbe ad approvare una riforma delle pensioni così inclemente da far lacrimare gli stessi artefici? Forse che un esecutivo in un Paese europeo possa avere convenienza a ridurre considerevolmente numero e reddito dei dipendenti pubblici? Quando si chiede qualche cosa a qualcuno ponendo condizioni che lo mettono nell’impossibilità di potersi rifiutare, si pratica un ricatto. E i governi dei paesi europei con un debito pubblico troppo elevato subiscono il ricatto  del potere finanziario che approfitta della crisi (che esso stesso ha provocato) per massimizzare i profitti dai prestiti concessi alle nazioni.

La finanza, come gli speculatori di borsa, guadagna sempre, fa affari quando il mercato è in fase toro o in fase orso; teme però l’andamento laterale, la calma dei mercati. E allora lo ravviva il mercato, proponendo finanziamenti per il rilancio dell’economia attraverso il ricorso all’indebitamento. Il potere finanziario, sposando  “la necessità Keynesiana che gli Stati dovessero intervenire con la spesa pubblica anche affrontando un deficit di bilancio per creare reddito e conseguente domanda di beni”, ha perseguito, negli anni settanta, due obiettivi: contrastare l’avanzata del comunismo con l’aumento del benessere per le fasce di popolazione meno abbienti e ravvivare il mercato con i finanziamenti per la realizzazione di opere pubbliche, sostegno alle imprese e assunzioni nel pubblico impiego.

Gli stati europei, con a capo governanti oculati, condivisero e incoraggiarono la scelta economica, ma al cessato pericolo della possibile vittoria socialista, seppero garantire, quando non progredire, il benessere conquistato contenendo, nello stesso tempo, il ricorso all’indebitamento. I governanti italiani, preoccupati della  sola ricerca del consenso, non hanno mai perseguito il bene del Paese nel suo complesso, ma semplicemente si sono limitati a difendere  anacronistici privilegi di categoria e a legittimare costumi sociali che tollerano e perfino lodano la mungitura dello Stato. E naturalmente il debito è cresciuto a dismisura con le conseguenze tremendamente negative che, Italia e altri stati europei, stanno subendo.

Tagli alla spesa, avanzo primario, riduzione dello spread e dismissione di beni pubblici sono fumo negli occhi, o comunque poca cosa, per la riduzione del debito e, nel caso dei tagli, gli effetti collaterali potrebbero essere addirittura peggiori della cura. Il debito deve essere restituito o drasticamente ridotto e l’unica via percorribile è la sicura redimibilità ottenuta con una lunga rateizzazione. Inoltre, occorre rimuovere la dipendenza dai creditori per garantire un tasso stabile e sostenibile. Eliminare il ricatto del rinnovo, dare certezza al rimborso e ottenere tassi di interesse agevolati: solo un prestito concesso dalla Bce può soddisfare queste urgenze. Si obietterà che l’art. 123 del Trattato Ue vieta alla Banca centrale di prestare denaro direttamente agli Stati. È arrivato il momento di modificare tale assurdo, masochistico e contradditorio articolo che, non solo esautora l’unico organismo qualificato al riscatto del debito pubblico, ma lo rende anche complice dei ricorrenti ricatti praticati dal potere finanziario sugli stati indebitati.  

Basterebbe, infatti, che l’Italia potesse avere, così come è stato fatto per le banche private, duemila miliardi di prestito a un tasso dell’1% e con i 70,3 miliardi previsti per interessi nella spending review del 30/04/2012, il Bel Paese convivrebbe pacificamente con il debito senza provare quella grave inquietudine e soprattutto senza subirne il ricatto.

Salvatore Carrano

5 aprile 2013