L’individuo, prigioniero dell’organizzazione burocratica, della crescente divisione del lavoro, dell’irrazionale progresso scientifico e dall’azione penetrante del quarto potere, viene ridotto a semplice ingranaggio di un meccanismo produttivo che ostacola il formarsi del cittadino politicamente responsabile. La nostra società riflette un individuo alienato e spersonalizzato dalla sua funzione parziale  nell’ambito del processo produttivo, del “docile robot” privo di grandi responsabilità e di risvolti creativi, incapace di trascendere la ristretta cerchia del suo ambiente specifico nel quale resta racchiuso. La manipolazione mediatica e la routine del lavoro estraniano il cittadino in una sfera privata di vita in società che lo riduce ad una dimensione comprendente casa, lavoro, qualche hobby, la tivù, e tutto ciò che succede oltre questa orbita limitata lo trova impreparato e indifferente.

Contro questa prospettiva di società alienante e spersonalizzante bisogna restituire al cittadino l’immagine della persona-valore, la coscienza sociale, la capacità di essere interprete nel conseguimento del proprio destino e la possibilità di decidere sui mutamenti che riguardano il futuro dell’umanità. Occorre recuperare quel “cittadino intelligente” politicamente partecipe e consapevole di ciò che succede intorno a lui.

Purtroppo, il più delle volte, l’uomo comune non possiede le qualità mentali necessarie per vedere e valutare in che modo i fatti storici rilevanti definiscono la sua vita interiore e il “comportamento esteriore di tutta una serie di categorie umane”. Ma se l’uomo comune non riesce a  risalire dal suo ambiente personale, verso orizzonti più vasti comprendenti la totalità della struttura sociale, chi lo può aiutare? Chi è che possiede queste qualità?

L’intellettuale deve configurarsi come depositario della “ragione sostanziale” che illumina l’individuo comune verso un’ottica a più largo raggio che non il proprio ambiente specifico. Allo studioso grava la responsabilità di risalire, dai ristretti ambienti personali, a problemi di ben più ampia portata che investono intere strutture sociali di singole società; ad egli spetta anche di formare coscienze critiche e sviluppate che siano composite e migliori rispetto alle  semplici, uguali e stereotipate confezionate  dai mass media e dall’emulazione. 

Senza voler essere rivoluzionari, il recupero della coscienza totale deve trascendere i rapporti sociali che si sono venuti a creare nella società stessa. La “disalienazione” dell’individuo avviene cioè nonostante la permanenza del dominio; diventa unicamente un problema intellettuale di educazione del cittadino all’autodeterminazione. L’intellettuale ha il compito duplice e complementare di intervenire a livello pedagogico e coscienziale; sul singolo per ricostruirlo come individuo libero e consapevole, e insieme, sulla società, per riaffermare quei valori liberali e progressisti che sono stati fondanti e protagonisti della fase di espansione e consolidamento delle società moderne.

Ma alienazione e spersonalizzazione sono  il portato storico di quei valori così come sono stati realizzati nella società attuale, sono il processo storico di sviluppo delle società liberali. Come fa, quindi, l’intellettuale ad evitare che possano ancora riprodursi?

Lo studioso deve saper  praticare la libera scelta dei valori scartando sia  l’ipotesi dell’esercizio diretto del potere e sia l’asservimento ai detentori del potere per il consolidamento del dominio. Il ruolo che si addice all’intellettuale è la rimozione dell’alienazione attraverso l’esercizio del ruolo critico e chiarificatore; egli non deve fungere da previsione e da controllo per meglio consolidare il potere di una ristretta cerchia di individui che manovrano il destino di intere nazioni, ma deve spiegare agli uomini quello che sta realmente accadendo intorno a loro. L’instaurazione di un’autentica democrazia dipende in larga misura dal libero (e critico) accesso che potrà avere l’intelletto agli strumenti di potere. Non è una lotta, si tratta di un compromesso, tra potere e intelletto che,  senza voler ribaltare le forme di dominio esistenti, vuole che queste forme di dominio siano più aperte al controllo pubblico e alle decisioni degli uomini di ragione.

Quali possibilità, ha però l’intellettuale di rimanere libero pensatore, di saper restare al di fuori del contesto di potere per riuscire a svolgere la funzione di mediatore tra individuo e società?

La figura dello studioso critico e genuino, tende a scomparire, quando l’intellettuale per la propria sopravvivenza, è costretto a dirigersi verso le grandi organizzazioni industriali e di potere che lo portano ad assumere mansioni stereotipate e vuote di critica oggettiva, ad essere soggiogato alle loro decisioni e ad essere responsabile del proprio operato pur non avendo nessuna autorità diretta su di esso. Spesso poi il committente, sia ente o singolo, non ha bisogno di conoscere la realtà nella sua interezza, ma il più delle volte è interessato solamente a certi particolari o a dei problemi specifici. Ne deriva una sottomissione sempre più stretta dello studioso al committente facoltoso, sia per la scelta dell’oggetto di studio, sia per la propria sopravvivenza, che porta alla separazione dell’intellettuale dai suoi mezzi di lavoro.

È la riduzione dell’intellettuale – privato dei mezzi di lavoro – a tecnico della società, vale a dire ad un salariato che si occupa del mantenimento e del consolidamento del potere esistente. Alla completa mercé del committente questo stile di lavoro dell’intellettuale più che illuminare l’essere umano, funge da previsione e da controllo per il rafforzamento del dominio. D’altronde la possibilità di carriera rende meno doloroso il distacco dell’intellettuale dalla propria indipendenza e l’attrattiva del benessere economico finisce per accalappiare anche gli uomini di scienza che solo operando autonomamente potrebbero porre le basi per una conquista di una reale società libera, civile e democratica.

Io sarei di parte; come sono andate le cose da allora?

Salvatore Carrano

17/04/2012