Nessun rimpianto per la sfiducia; una simile formula di governo non doveva nemmeno essere presa in considerazione. Un esperto non è adatto ad amministrare un Paese perché conosce e programma solo quello che sa realizzare; non “sceglie” né decide, semplicemente concretizza le proprie competenze. Un tecnico agisce per perizia e razionalità senza tener conto delle esigenze della collettività e, difatti, ogni manovra rivolta all’equilibrio di bilancio nazionale varata dall’ultimo governo, ha avuto l’effetto di un colpo di scure inferto allo stato sociale.

Si è cominciato con la dolorosa riforma delle pensioni, subito dopo la soppressione di alcuni diritti dei lavoratori, poi il ridimensionamento delle cure sanitarie gratuite ed infine un taglio di risorse alla già misera scuola pubblica; ecco la razionalità dei tecnici: il risanamento dei conti ottenuto con lo smantellamento dello stato sociale. Secondo il premio Nobel Paul Krugman, “l’austerity è solo la scusa per smantellare i programmi sociali su scala globale”.

Si è verificato un graduale impoverimento del ceto medio, il divario tra benestanti e la massa dei cittadini è cresciuto a dismisura e, quello che non è riuscito a quattro governi di destra, lo hanno realizzato, con l’appoggio ingenuo(?) e sconsiderato delle forze di sinistra, dei tecnocrati subentrati ai politici nella gestione della Nazione. La formula era oltre tutto geniale perché priva di ogni responsabilità verso gli elettori. I parlamentari votavano, magari chiedendone qualche aggiustamento a priori concordato, le proposte dell’esecutivo in carica. Alla fine destra e sinistra si mostravano scontente e dispiaciute per aver avallato una scelta di governo che potesse aver penalizzato la gente comune. Lacrime di coccodrillo.

Non è difficile salvare il Paese – o almeno le banche e i banchieri – mandando in miseria una larga fetta della collettività; e poi che senso ha salvare l’Italia dal baratro se molti italiani ci finiscono dentro? Il governo tecnico pensava forse di chiuderlo, il baratro, riempiendolo di precari, esodati, disoccupati e imprenditori colpiti da economica sventura? Quando sono servite delle risorse per far quadrare il bilancio, senza esitazioni si è varato il blocco delle retribuzioni (casta esclusa) con la conseguente riduzione del potere d’acquisto, si è ripristinata, aggravandola, l’iniqua tassa sull’investimento (il mattone) tanto caro alle famiglie del bel Paese e, ciliegina sulla torta, si sono approvati i deplorevoli tagli sui servizi essenziali. Più che le competenze, per adottare simili provvedimenti, servivano indifferenza e distacco, oppure la cinica razionalità dei tecnici che hanno anteposto il risanamento dei conti alle condizioni economiche, ridotte allo stremo, dei cittadini.

L’obiettivo da perseguire a qualsiasi costo era il calo dello spread sotto i 300 punti; e poco importava se per raggiungere lo scopo occorreva tartassare anche e soprattutto i redditi più bassi. Vengono in mente cattivi pensieri, ma l’oppressione d’altronde si avvertiva, ancora si percepisce. Secondo J. Habermas “la riduzione del dominio politico ad amministrazione razionale può essere concepita solo a costo della democrazia stessa”. Riflettendoci bene è proprio così: chi può permettersi di  prendere dei dolorosi provvedimenti senza preoccuparsi dell’opinione pubblica? Solo un governo autoritario. Si provi ad immaginare se i cittadini fossero stati chiamati a scegliere tra l’istituzione dell’IMU sulla prima casa e una  tassa sui grandi patrimoni, quale avrebbero scelto? Di certo non l’imposta sull’abitazione principale. Giacché il governo, con la complicità del parlamento ha, però, reintrodotto l’IMU, si è trattato di una decisione assolutamente priva del consenso popolare e, di conseguenza, autoritaria.

In democrazia una classe politica “si serve del sapere tecnico…, ma per quanto la competenza dell’esperto possa determinare le tecniche di amministrazione razionale… e, quindi, riesca ad imporre i mezzi alla prassi politica in base a regole scientifiche, la decisione pratica, in una situazione concreta non può mai venire legittimata a sufficienza dalla ragione”. Il politico occupa “una posizione di preminenza rispetto all’esperto”, perché, avvalendosi del “sapere tecnico”, è in grado di decidere in base “ai valori, ai fini e ai bisogni” di un popolo. I tecnici, su commissione, hanno perseguito il risultato del risanamento a discapito della gente comune e in base “ai fini e ai bisogni” dei politici committenti. Chissà se gli esperti qualche rimorso lo avranno provato nel penalizzare oltre misura le fasce più deboli della popolazione che, dalla crisi, hanno subito già pesanti conseguenze salvaguardando, invece, la classe politica che della recessione ne è stata la causa principale.

In definitiva un tecnico, nella gestione del potere, non dispone della legittimità per essere autonomo, ma può solo offrire le proprie competenze e ottemperare alle disposizioni dei politici. I parlamentari hanno commissionato agli esperti quello che loro avrebbero voluto realizzare senza essere incolpati di averlo concretizzato e senza pagarne le conseguenze in termini di riduzione dei consensi. Adesso, in vista delle elezioni, siccome i suffragi di quei tanti elettori molto arrabbiati per essere stati, da soli, duramente penalizzati dalle manovre licenziate dal governo tecnico sono determinanti per la vittoria nella consultazione, i politici, dagli esperti si dissociano, prendono le distanze, li ripudiano e li sfiduciano.

Non si speri che i congedati tecnici possano contare sulla gratitudine e sulla benevolenza dei maltrattati cittadini, non hanno fatto niente per meritarle; ma, conviene rammentarlo, gli esperti, avendo agito per conto di  una committenza politica, sono comunque e solamente dei “responsabili di regresso”.

Salvatore Carrano

10 dicembre 2012