La volontà popolare “è sempre retta” direbbe Rousseau.  Il voto è senza eccezioni un’espressione di volontà sovrana; sono le modalità di conteggio che possono pregiudicarne valore, giovamento e numero di rappresentanti. Qual è stata la volontà popolare nelle recenti elezioni? Forse che il popolo abbia sbagliato a votare?

Parto dalla seconda questione con il ribadire che la volontà popolare non è mai “sbagliata”. Semmai, come in questo caso, è frazionata in tre espressioni di volontà più o meno equamente divise che lasciano presagire, almeno da impulsiva osservazione, uno scenario di ingovernabilità.

Considerando il responso delle urne, si constata che la stessa quantità di voti garantisce alla coalizione appena vincitrice un’ampia maggioranza alla camera, ma non consente, di fatto, la governabilità del senato. Hanno votato male gli elettori o loro stessi sono stati ingannati da una legge elettorale, volutamente ossimorica e varata con l’astuto scopo di ostacolare la governabilità al partito o al raggruppamento che, pur avendo riportato la vittoria con le  preferenze, quando non trionfa, risulta perdente nei seggi? La volontà popolare non può essere unanime, sarebbe anzi una sventura se lo fosse, ma è indispensabile che, al termine di una consultazione, designi, sempre e comunque, una maggioranza per governare il Paese. Non prevedere o addirittura augurarsi uno stallo post-elettorale è, da parte dei parlamentari, un atto sconsiderato ed equivale a essere distruttivi e disfattisti.

I politici sostengono di volere sempre il bene degli elettori, ma mille volte li ingannano e li confondono per l’interesse particolare della propria formazione di appartenenza. La volontà popolare è raggirata, abbindolata, plagiata; svilita con abili furberie che la trasformano in un senso di colpa collettivo. In uno stato democratico il popolo è a un tempo sovrano e suddito: dov’è la sovranità se il diritto all’esercizio del potere non è rispettoso dell’espressione del popolo? Solo sudditi e anche ridotti in povertà da una crisi economica sicuramente resa più insopportabile da una manchevole, quanto inavveduta, azione di governo.

La volontà popolare è calpestata quando affermazioni come: “L’esito del voto non consente la governabilità del paese” sentenziano l’irresponsabilità e l’inadeguatezza del verdetto elettorale. Ma questa affermazione è manifestamente falsa! Si tende non di rado a fare confusione tra l’esito della volontà popolare e le aspettative delle formazioni politiche. Quando si va alle urne ogni elettore esprime la propria volontà attribuendo una preferenza in base ai propri convincimenti e non secondo i calcoli previsionali dei partiti. È compito della politica interpretare le esigenze dei cittadini per meritarne il consenso e renderlo bastevole alla governabilità. In una repubblica parlamentare la volontà popolare è demandata ai membri delle due camere che a loro volta eleggono il presidente della repubblica e votano la fiducia al governo. Sono dunque i parlamentari che, eletti dai cittadini, si esprimono per la scelta dell’esecutivo. E allora perché gli elettori sarebbero responsabili dell’ingovernabilità del Paese?

Se il responso delle urne, con la complicità della legge elettorale, non consente a una sola coalizione o a un unico partito di avere i numeri per votare la fiducia al governo, significa che la responsabilità di amministrare il Paese se la dovranno dividere due o più formazioni politiche.

La volontà popolare nella recente consultazione, e passo alla prima questione, ad un esame più attento, è stata estremamente chiara e precisa: ha assegnato il 55% dei voti a forze politiche o movimenti contrari all’operato dei governi della legislatura che si è appena conclusa. Questo consenso però non è andato per intero ad un solo raggruppamento, ma è stato ripartito tra una coalizione che prometteva qualche innovazione nel rispetto della continuità e un movimento che garantiva senza riserve la rottura con il passato, sia nel modo di intendere la politica e sia nel rinnovamento totale delle persone da eleggere come rappresentanti. I sostenitori del Partito Democratico, chiamati a scegliere tra un leader “tradizionalista”, che rispecchiava la vecchia idea della politica e un “rottamatore”, che invece sbandierava il rinnovamento totale (il nuovo che avanza), si sono espressi per la continuità e ovviamente, come d’altronde era prevedibile, non hanno consentito al PD di raccogliere i voti del malcontento, della protesta e del rinnovamento.

Adesso, delusa dall’esito elettorale, la coalizione che ha vinto, per governare deve scendere a patti proprio con il movimento che ha saputo meglio interpretare le aspettative del  voto espresso per pacifica ribellione e per protesta.

E non si dica che non si riesce a trovare un accordo, perché una delle caratteristiche che il politico dovrebbe avere è proprio la capacità di destreggiarsi abilmente nelle situazioni e nei rapporti con gli altri.

Direbbe ancora Rousseau “c’è spesso molta differenza tra la volontà di tutti e la volontà generale (intesa come maggioranza); questa non considera che l’interesse comune, l’altra l’interesse privato, e non è che una somma di singole volontà: ma, togliete da queste stesse volontà quelle più esagerate, per causa o per difetto, che si distruggono a vicenda, resterà come somma delle differenze la volontà generale”.

Se prevarrà la logica dell’interesse delle singole volontà, significa che accordi proprio non se ne vogliono fare; allora non resta che riandare a votare per riconsegnare il governo del Paese al centrodestra.

Salvatore Carrano

7 marzo 2013