Al trascorso Forum Ambrosetti di Cernobbio, Renzi, con il suo intervento, raccoglie consensi pressoché unanimi tra la platea quando, soffermandosi sulla crisi del settore creditizio, afferma che le banche devono aggregarsi. A convalida della tesi sostenuta dal Premier, i banchieri, nelle successive dichiarazioni, condividono che le aggregazioni aumenteranno l’efficienza, la redditività e la capitalizzazione. Inoltre, l’amministratore delegato di Banca Ifis ha soprattutto gradito la puntualizzazione del Primo ministro sulla necessità di dimezzare il personale bancario e l’esigenza prioritaria di ridurre le troppe filiali, trova il pieno accordo del presidente di Allianz Italia. Insomma, pur con la consapevolezza della conseguente diminuzione delle loro poltrone, i manager del settore creditizio presenti, convengono che le banche sono troppe, troppo piccole per reggere la concorrenza e hanno anche troppi dipendenti. Tre fattori “di troppo” che impediscono alle banche di conseguire redditi soddisfacenti. In casi del genere, se si trattasse di un’impresa industriale, una possibile soluzione al rilancio della redditività potrebbe essere il ricorso all’economia di scala, ossia alla diminuzione dei costi medi di produzione con l’aumento delle dimensioni dell’impresa. Aggregarsi è mettersi insieme e, unendosi, si cresce obbligatoriamente nelle dimensioni. Quando ci si unisce, inoltre, si ottimizzano gli spazi, quindi, si riducono le sedi e le risorse materiali necessarie allo svolgimento dell’attività produttiva. Utilizzando meno locali, serve di certo anche meno personale, se non altro per quelle mansioni ripetitive, meccaniche e proprie delle tecnologie informatiche. E così il ricorso all’economia di scala risolverebbe, da solo, i tre problemi “del troppo” che affliggono le banche.

Anche una semplice analisi di bilancio conforta l’ipotesi di rimedio proposto e per dimostrarlo esamino due prospetti di conto economico, volutamente differenti nel tempo di redazione e nella consistenza degli importi delle voci. Tant’è che il primo risale a due decenni fa e riporta i valori di una grossa azienda di credito nazionale, l’altro, invece, è del 2015 ed è redatto da una piccola banca territoriale. Ovviamente non è possibile nessuna comparazione in termini assoluti, ma percentualmente e relativamente è possibile cogliere delle interessanti analogie. Ad esempio le spese per il personale in entrambi i prospetti ricoprono circa un terzo dei ricavi originati dagli interessi attivi e dalle commissioni, i costi amministrativi, da soli, assorbono quasi per intero l’importo del margine di interesse e l’utile da attività ordinarie coincide all’incirca con i proventi netti delle commissioni e delle operazioni in servizi. Nessuna delle due banche offre (offriva) alla clientela la tenuta del conto corrente a zero spese e, nel caso lo avessero praticato o lo praticassero, il risultato economico sarebbe, se non negativo, comunque con una positività irrilevante. È evidente che le spese per servizi e personale pesano eccessivamente nel conteggio del risultato economico e ridurle garantirebbe un netto miglioramento della redditività. Verrebbe da obiettare che gli utili si possono incrementare anche con maggiori ricavi derivanti magari da un aumento delle commissioni e delle spese da addebitare ai clienti o dall’offerta di nuovi servizi a pagamento. È la strada che intendono percorrere Banco Popolare, Unicredit e Ubi, avendo annunciato che aumenteranno i canoni mensili dei conti correnti dopo che di recente, anche alcune banche tedesche si erano pronunciate per la fine dei c/c gratis. La politica dell’aumento dei prezzi, però, è premiante quando è legata a una differenziazione per l’unicità o l’elevata qualità dei servizi offerti. In altri casi, l’unica strategia possibile è battere la concorrenza sul fronte dei costi: offrire quanto e come le imprese rivali, ma a minor prezzo e con gli stessi (o addirittura maggiori) margini di profitto. Oltretutto, la riduzione dei costi, di per sé, “genera ricavi”, non unitari ma complessivi e prodotti dall’incremento della clientela attratta dalla convenienza.

Alle banche toccherà la stessa sorte del commercio al dettaglio: i gruppi bancari assorbiranno le piccole banche così come gli shop center hanno fagocitato i piccoli negozi. E se poi si presenterà un problema di eccesso di personale, allora ci sarà da impegnarsi nella riorganizzazione, formando e riconvertendo gli esuberi alle nuove mansioni, con competenze sempre più digitali e finanziarie, ma anche di consulenza specializzata, soprattutto nel settore pensionistico e in quello assicurativo.

Salvatore Carrano

28 settembre 2016