“Se hanno avuto una storia, essa è priva di eventi; se hanno interessi comuni, non sono tali da farne una classe omogenea; se avranno un futuro, non sarà certo opera loro”. Un autorevole e sconfortante ritratto degli  impiegati pubblici, la fetta più consistente dei colletti bianchi. Tanti sacrifici, compiuti da idealisti genitori, che hanno fatto studiare i loro figli perché potessero diventare “figure patetiche piuttosto che tragiche”, individui senza indipendenza, “creature sempre di qualcun altro”, agrimensori K, … impiegati pubblici. Una  categoria che risulta essere, almeno in Italia, la più bistrattata e osteggiata; trattata male sia dagli utenti e sia dal datore di lavoro. Un impiegato delle poste viene accusato di incompetenza, lentezza e inefficienza dal cittadino esausto per l’interminabile fila allo sportello. Nello stesso tempo dirigente generale e ministro di turno scaricano sugli stessi dipendenti colpe e lamentele degli utenti per il malfunzionamento del servizio. “La classe operaia va in paradiso”, imprenditori e liberi professionisti sulla terra non se la passano male, i dipendenti pubblici, invece, sono solo dei pedanti burocrati, oziosi, poco amati e divoratori di eccessive risorse finanziarie perché ritenuti troppo numerosi. Ma sono davvero tanti i dipendenti pubblici?

In Europa la media degli impiegati pubblici è del 5,88% della popolazione. In Italia statali e lavoratori delle amministrazioni periferiche sono il 5,7%, più o meno gli stessi della Germania (5,47%); in Inghilterra ne hanno di meno (3,41%), ma svedesi e francesi ci superano abbondantemente (rispettivamente 12,36% e 8%). Scopriamo, con sorpresa, di essere  in perfetta media con gli altri stati d’Europa. E allora come mai tanta ostilità nei confronti dei pubblici travet da definirli assenteisti, fannulloni e privilegiati?  Perché, purtroppo, in Italia la qualità dei servizi è decisamente scadente e l’impostazione della prestazione lavorativa troppo irrispettosa verso l’utenza.

Non credo che esista una graduatoria sulla qualità e l’efficienza dei servizi offerti dalla pubblica amministrazione nei paesi d’Europa; se ci fosse, probabilmente, il nostro Paese occuperebbe un posto tra gli ultimi. I motivi sono principalmente tre.

L’organizzazione del lavoro, quanto meno superata, di tipo gerarchico-lineare che non consente nessuna autonomia dei singoli funzionari e comporta, causa la lentezza delle decisioni, un modesto livello di efficienza e un’esasperazione della burocratizzazione. Competenze che si accavallano, enti superflui, modalità di trasmissione macchinose e accidentate tra i vari uffici, completano l’elenco dei disservizi da eliminare.

Soddisfatti o infuriati: quale sentimento prevale dopo una mezza giornata sprecata a rincorrere cavilli burocratici o impiegata nella snervante attesa di una prestazione sanitaria? Spesso il secondo, perché da parte degli enti pubblici non si persegue il benessere sociale, bensì le modalità di utilizzo delle risorse. È un “potere degli uffici” “al servizio esclusivo della nazione” che, parteggiando per gli interessi pubblici, non si pone come obiettivo prioritario l’appagamento di un bisogno del cittadino.

Infine i criteri di reclutamento, soprattutto per le cariche di responsabilità, non garantiscono la migliore competenza possibile per l’adempimento di una funzione. Nomine politiche, clientelismo, voto di scambio, interessi lobbistici, nepotismo occulto, baronie, calpestano il merito e, favorendo l’appartenenza, piuttosto che intelligenza, capacità e impegno,  promuovono figure professionali  inadeguate e mediocri. È la causa principale dell’inefficienza dei servizi pubblici ed è l’ostacolo più difficile da rimuovere.

Attivare un processo di riorganizzazione e riqualificazione del personale, attraverso dei corsi di addestramento e di formazione miranti ad ottenere la soddisfazione dell’utenza, non sarebbe granché complicato. La trasformazione di una dirigenza servile e inconcludente in una figura dinamica, collaborativa e decisionale richiederebbe, invece, tempi non brevi, qualche misura drastica e delle precise scelte politiche.

Ancora una volta, come del resto è giusto che sia, la politica, nel bene e nel male, pianifica e definisce la qualità di un servizio pubblico. D’altronde è impensabile che individui senza indipendenza e “creature sempre di qualcun altro”, possano autodeterminarsi e da soli decidere come organizzarsi e regolamentarsi. Fatalisti e rassegnati, i dipendenti pubblici, si limitano ad esplicare, come da contratto e, quindi, senza infamia e senza lode o coscienziosamente, la propria mansione.

Salvatore Carrano

10/06/2012