Il patrimonio è il complesso dei beni, mobili o immobili, che una persona fisica o giuridica possiede e un’eventuale tassa calcolata su tali averi, prende il nome di patrimoniale. Periodicamente, magari con un fine propagandistico e in vista di qualche competizione elettorale particolarmente accanita, della tassa sul patrimonio, se ne ventila una sua probabile introduzione; la proposta suscita immancabilmente calorosi consensi da parte dei sostenitori, ma genera anche manifestazioni di irremovibile e accesa disapprovazione.

I fautori della patrimoniale sostengono che l’imposta in questione farebbe diminuire la tassazione sul reddito e in particolare sul lavoro dipendente spostando il prelievo impositivo sulla ricchezza derivante dal possesso dei beni. La riduzione del carico fiscale sul reddito aumenterebbe la capacità di spesa delle famiglie e farebbe salire i consumi. Inoltre la patrimoniale è un’imposta che poco si presta all’evasione giacché beni, valori mobiliari, partecipazioni e ricchezze in genere, al contrario dei redditi, sono difficilmente occultabili alla conoscenza del Fisco. Un’eventuale applicazione della patrimoniale, a detta dei sostenitori, sarebbe del tutto legittima poiché in base all’art. 53 della Costituzione, “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”.

Per contro, studiosi e politici avversi alla sua applicazione, sono nei confronti della patrimoniale determinatamente ostili, per niente duttili. Ne è un esempio l’economista Fabio Scacciavillani che paragona la patrimoniale a un “esproprio del risparmio privato” e solleva dubbi di costituzionalità sull’applicazione dell’imposizione in quanto contravviene al principio sancito dall’art. 47: “La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito”. Per l’autore citato, il reddito viene assoggettato a imposta nel momento del suo verificarsi e la quota netta restante deve poter essere tesoreggiata, senza subire altro prelievo fiscale. Oltre tutto, il reddito già tassato e trasformato in patrimonio per la quota risparmiata, subirebbe una seconda imposizione contravvenendo a un principio di legittimità del diritto tributario.

La patrimoniale ridimensiona la sacralità della proprietà privata trasformandola in un maxi demanio in concessione. Si acquista o si eredita la disponibilità di un bene, ma per poterlo utilizzare o semplicemente continuare ad averne il possesso, bisogna pagarne il diritto allo Stato, sempre, tutti gli anni e indipendentemente dal reddito che produce. L’imposta sul patrimonio potrebbe anche essere straordinaria, una tantum, e in tal caso si tratterebbe di un prelievo forzoso necessario a fronteggiare una situazione di estrema emergenza. Ancora più odiosa! Oppressi già da pesanti carichi fiscali, un’ulteriore pretesa di sottrazione, sebbene dettata dalla straordinarietà, sarebbe davvero insopportabile. 

Sembra che esista un’evasione da “legittima difesa” dettata dalla necessità di fronteggiare le ristrettezze economiche che, soprattutto nei periodi di crisi, tormentano famiglie e piccoli imprenditori. Il lavoratore dipendente che fatica ad arrivare a fine mese, avendone possibilità, nasconde all’imposizione piccoli introiti derivanti da provvidenziali lavori occasionali. Probabilmente ne prova persino vergogna, piuttosto gli piacerebbe vantarsi e brontolare per dover pagare un mucchio di tasse, ma le sue entrate così modeste e le scadenze così tante, non gli consentono il lusso dell’irreprensibilità contributiva. Così pure i piccoli imprenditori, stremati dal calo dei consumi, sottraggono alla produzione ogni possibile onere (compresi i tributari) per abbassare i costi e reggere la concorrenza al fine di mantenere quel livello di vendite necessario a continuare l’attività d’impresa. Non tutti sono però evasori per necessità, c’è chi sottrae imposte al Fisco per avidità.

Eliminare l’evasione da “legittima difesa” non richiede l’ingaggio dei vampiri di Equitalia, bensì la rimozione del movente evasivo: lo stato di necessità. Entrate commisurate ai bisogni allontanano l’esigenza dei cittadini a doversi misurare con la propria onestà di contribuente e nello stesso tempo fanno crescere i consumi delle famiglie e i ricavi delle aziende. Senza il pericolo della chiusura per scarsità di fatturato, le imprese non hanno convenienza a rischiare pesanti sanzioni e danni di immagine per aver sottratto imposte all’erario.

Per combattere l’evasione non abbinata allo stato di necessità, invece, basta mettere in atto meccanismi di accertamento che non diano possibilità di nascondere ricchezze al Fisco. Ebbene l’imposizione sul patrimonio, in alternativa alla tassazione sul reddito, potrebbe essere una soluzione per deprimere l’evasione fiscale e rendere più equo il sistema tributario. Senza il prelievo sul reddito aumenterebbero la disponibilità di spesa e/o la capacità di risparmio dei contribuenti. Maggiori consumi garantirebbero allo Stato entrate in crescita per effetto dell’IVA, mentre l’applicazione di un’imposta proporzionale e magari progressiva sul risparmio accumulato, consentirebbe al Fisco di recuperare l’abolito prelievo  sui redditi.

Un reddito tutto per sé, da poter utilizzare, volendo, interamente per i consumi e senza l’obbligo di doverlo dichiarare, trasforma l’oppressione fiscale in solidarietà fiscale. Nessun contribuente potrebbe sentirsi vessato per essersi privato di un bisogno avendo dovuto utilizzare delle risorse monetarie per pagare le imposte, perché il prelievo graverebbe sul risparmio, ossia sul reddito in esubero dopo aver soddisfatto le proprie esigenze. E quando si è sazi, si è anche più generosi e ben disposti a privarsi di una piccola parte dei beni in eccesso alle proprie necessità.

Le entrate tributarie del bilancio dello Stato ammontano a circa 450 miliardi di euro, suddivise in 255 miliardi per imposte dirette e il resto per imposte indirette. Tassando mediamente al 2,5-3% la ricchezza complessiva delle famiglie italiane (stimata dalla Banca d’Italia intorno ai 9000 miliardi di euro), il Fisco potrebbe incassare pressappoco le stesse somme prelevabili tramite imposte dirette.

Un “paperone” che avesse accumulato beni per quattro miliardi di euro pagherebbe 100-120 milioni di imposte. Sembrano troppe? Ancora minore sarebbe l’impatto oppressivo sui giovani appena inseriti nel mondo del lavoro, anche se dovessero produrre redditi da yuppies, perché nel primo anno o in quelli immediatamente successivi, lo stock (il risparmio accumulato) difficilmente avrebbe raggiunto un imponibile tale da richiedere il versamento di tributi milionari.

Occorre comunque ricordare che un prelievo una tantum del 6 per mille sui conti bancari scatenò nel 92 accese polemiche, figurarsi un’imposizione di oltre 4 volte superiore e in più estesa a tutti gli averi; come minimo ci sarebbero tanti scontri di opinione alimentati da quei governanti ed esperti che, insofferenti alla patrimoniale, con ogni mezzo a disposizione tenterebbero di contrastarne l’introduzione. Se però l’economia e il benessere del Paese ne dovessero trovare beneficio… chissà forse un pensierino a studiarne l’eventualità dell’applicazione, qualche leader politico potrebbe anche farcelo. Lo slogan potrebbe essere questo: “I redditi sono di chi li produce, ma tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità di consumo e di accumulazione”.

Salvatore Carrano

19 dicembre 2013