Le banche sono degli intermediari finanziari che raccolgono i depositi in denaro dei risparmiatori e li utilizzano per concedere prestiti al consumo e alla produzione. Esse sono le uniche imprese a potersi vantare dei propri debiti perché i fondi raccolti, pur essendo delle passività, rappresentano una primaria fonte di reddito.
Il meccanismo che consente alle banche di trarre profitto dall’attività di intermediazione si basa sulla fondamentale regola del commercio: ricavi di vendita maggiori dei costi di acquisto. Per le aziende che operano nel settore del credito, il costo di acquisto è rappresentato dagli interessi debitori che vengono corrisposti al risparmiatore quando quest’ultimo deposita una somma di denaro, mentre i ricavi derivano dagli interessi attivi che le banche riscuotono quando concedono i finanziamenti alle imprese e alle famiglie. Il tasso sui prestiti concessi è più alto rispetto a quello offerto sui depositi e, pertanto, all’aumentare dei debiti per raccolta fondi, le banche dispongono di maggiore liquidità da investire a condizioni che procurano ricavi per interessi nettamente superiori rispetto ai costi sostenuti per remunerare i depositi dei risparmiatori. Un rapporto totalmente squilibrato tra debiti e capitale proprio per qualsiasi altra impresa sarebbe un segnale di dissesto finanziario, per le banche, invece, l’incremento delle operazioni di provvista esercita un effetto leva sulla redditività del capitale investito.
L’attività di intermediazione svolta dalle banche, quando i risparmi raccolti vengono indirizzati verso la produzione e i consumi, favorisce l’occupazione e contribuisce allo sviluppo economico-sociale di un territorio. Modesti risparmi che senza l’attività di raccolta fondi svolta dagli istituti di credito non potrebbero trovare nessuna forma di fruttuoso e operoso impiego, confluiscono nelle casse delle aziende fornendo la disponibilità monetaria per consentire di svolgere il regolare esercizio d’impresa e attuare le strategie di sviluppo o di consolidamento decise dai vertici aziendali. Senza l’intermediazione svolta dalle banche, un’idea imprenditoriale non potrebbe mai concretizzarsi per la mancanza dei mezzi finanziari necessari per coprire le spese di costituzione della società e i costi degli investimenti strutturali iniziali. Tante famiglie sarebbero costrette a rinunciare al soddisfacimento di qualche sospirato bisogno perché, senza i finanziamenti bancari, non avrebbero la liquidità per far fronte all’acquisto del bene o del servizio.
In definitiva con l’attività di intermediazione, le banche conseguono sì ragguardevoli profitti, ma possono essere determinanti, con la loro azione, ad accrescere il benessere economico di un territorio.
In Emilia alcuni istituti bancari si sono dotati di appositi ambienti per la conservazione e la stagionatura del parmigiano. Gli imprenditori ottengono i finanziamenti necessari all’acquisto dei fattori produttivi cedendo in pegno alla banca il prodotto fresco e non ancora pronto per la vendita. La banche sono adeguatamente remunerate dagli interessi sull’anticipazione concessa nonché dai compensi per la conservazione e la stagionatura del formaggio. Non pochi vantaggi ricevono anche i produttori che, non avendo l’esigenza di impegnare ingenti somme nell’acquisto dei costosi magazzini attrezzati per la conservazione e la stagionatura, investono in materia prima e, senza aspettare il ritorno monetario derivante dalla vendita del formaggio, ricevono dalla banca i finanziamenti per iniziare un nuovo ciclo produttivo. Gli istituti di credito, con la funzione creditizia, agevolano l’attività d’impresa ed è probabilmente il caso di dire che senza l’aiuto delle banche il parmigiano non avrebbe tante aziende che lo producono e nemmeno tanti lavoratori impiegati nel settore. Quando le imprese si moltiplicano, crescono i consumi, si crea nuova occupazione, aumenta il benessere e le banche.… certamente anch’esse, meritatamente, prosperano.
Dal rapporto Svimez sull’economia del Mezzogiorno riferito all’anno 2012, emerge che una famiglia su quattro è a rischio povertà, i consumi sono calati del 4,8% nell’anno 2012 e il tasso di disoccupazione reale sfiora il 28%. Il Meridione, prossimo alla desertificazione industriale, conta appena sei milioni di occupati, negli ultimi venti anni sono emigrati circa duemilionisettecentomila persone e Il pil pro capite è meno della metà rispetto a quello del Centro-Nord. Secondo uno studio della Banca d’Italia, “dove l’economia è meno sviluppata, non solo i tassi risultano più elevati per compensare il maggior rischio, ma il volume di credito, espresso sia in percentuale del PIL sia in percentuale della raccolta bancaria, è più basso”. Ma il volume di credito concesso è minore perché l’economia è meno sviluppata e ci sono meno imprese che chiedono finanziamenti oppure l’economia è meno sviluppata e ci sono meno imprese perché il credito accordato al consumo e alla produzione è più basso? Vi sono realtà dove i giovani espatriano non per scelta, i borghi hanno il colore grigio umettato dell’abbandono e le persone che ci vivono, segnate dal fatalismo, danno l’idea dell’inerzia che non reagisce al progresso.
Eppure anche in queste realtà non è tanto difficile trovare un bell’edificio tutto di specchi che ospita una florida banca. E allora pensi che le aziende di credito, anche quando non promuovono lo sviluppo e “la crescita responsabile e sostenibile del territorio nel quale operano”, godano di redditi garantiti, trovino sempre il modo di fare profitti e immeritatamente prosperino magari per volontà degli aiuti di Stato concessi dalla CE.
Salvatore Carrano
28 novembre 2013