I partiti sono associazioni organizzate che si prefiggono lo scopo di gestire il potere politico. Essi si costituiscono quando ci sono contrasti tra i cittadini per il governo di una nazione e rappresentano, nei sistemi democratici, fasce di popolazione divise per opinioni, categorie sociali, interessi comuni, ideologie. In taluni casi un partito raccoglie solamente un’appartenenza religiosa o addirittura la protesta ad un sistema di governo nel suo complesso. Una nazione con diversi partiti garantisce una rappresentanza capillare e diversificata; nel caso il potere politico sia concentrato in un unico partito, ci troviamo in presenza di una dittatura.
Nel nostro Paese, dal secondo dopoguerra, nonostante i partiti siano sempre stati numerosi, una sola formazione politica, fin dalla nascita della prima repubblica e per circa trent’anni di seguito, ha esercitato, di fatto, il monopolio democratico del potere politico. Tale partito non ha mai permesso che ci fosse l’alternanza; ma non ha dovuto faticare molto perché il diretto antagonista, dal suo canto, completava e legittimava, rifugiandosi comodamente nell’infallibile ruolo dell’opposizione, l’esercizio liberale del potere senza ambire a compiti di governo.
Tuttavia, la formazione di maggioranza relativa, per governare, quasi sempre era costretta a patteggiare con piccoli raggruppamenti che le imponevano accordi sempre più pregiudizievoli. L’elettorato esigente e severo, percependo una perdita di valori del proprio partito, faceva mancare il proprio consenso; più i suffragi scemavano, più le condizioni imposte dagli alleati di governo si facevano gravose e compromettenti.
Ci sono anni in cui le “società riposano e sembra che vogliano riprender fiato, ma questa è solo apparenza, perché il tempo, non sospende il suo cammino né per i popoli né per gli uomini; (…) Vi sono dunque epoche in cui i cambiamenti che si operano nella costituzione politica e nello stato sociale dei popoli sono tanto lenti ed insensibili che gli uomini credono di esser giunti allo stadio finale. (….) È il tempo degli intrighi e dei piccoli partiti”.
Gli accordi diventarono così compromettenti da sconfinare nella corruzione e nell’illegalità; a quel punto un’inchiesta giudiziaria di ampia portata decretò la fine, o almeno la disgregazione, dei partiti della prima repubblica.
Pensando che il vecchio sistema elettorale fosse stato la causa preminente dell’immorale degrado della politica, sopravvissuti e nuove leve di partito, approntarono dapprima un maggioritario imperfetto e successivamente una coalizione uscente pasticciò in tutta fretta un asservito proporzionale a liste bloccate. Ben presto però ci si rese conto che il Porcellum, piuttosto che ridurre, aumentava a dismisura il numero dei “cespugli”. Ma “I piccoli partiti sono in generale senza vera fede politica: non essendo sostenuti da grandi obiettivi hanno carattere egoistico che si manifesta in ogni loro azione: si entusiasmano a freddo, sono violenti nel linguaggio, timidi e incerti nell’azione; impiegano mezzi puerili come gli scopi che si propongono”. I piccoli partiti “agitano la società, la depravano e la turbano sempre senza profitto”. Poi venne la crisi che mise in secondo piano un sistema politico rissoso, diviso, corrotto, licenzioso. La spaventosa crisi economica, nella fase acuta, evidenziò, nello stesso tempo, l’inefficienza e l’inadeguatezza della compagine governativa, tanto da far pensare che i parlamentari al potere fossero stati eletti per tutt’altre faccende che non per adottare provvedimenti legislativi indirizzati e di buon governo.
“Vi sono epoche in cui le nazioni sono tormentate da mali così grandi che si pensa ad un cambiamento totale della loro costituzione politica. Ve ne sono altre in cui il disagio è ancora più profondo, in modo che lo stato sociale stesso ne è compromesso. È il tempo dei grandi partiti” e della rettitudine. “I grandi partiti badano più ai principi che alle conseguenze, alle generalità più che ai casi particolari, alle idee più che agli uomini. Questi partiti hanno in genere lineamenti nobili, passioni più generose, convinzioni più salde e procedimenti più franchi e arditi degli altri. (…) I grandi partiti rovesciano la società, la ravvivano, e talvolta la salvano scuotendola fortemente”.
È una questione non di poco conto sapere se si governi meglio con un “pluralismo semplice” (bipartitismo) o con una forma di multipartitismo; certo è che nella nostra breve storia repubblicana i piccoli partiti hanno sempre avuto un ruolo considerevole, se non indispensabile, nella composizione delle coalizioni e nella governabilità. Ne conosciamo (e ne paghiamo) le conseguenze nonostante A. de Tocqueville (così come sopra riportato) ci avesse messo in guardia dagli intrighi dei piccoli partiti. Non abbiamo, invece, nessuna esperienza di bipartitismo, ma, anche in questo caso (faccio riferimento alle citazioni sui grandi partiti), e con opposte valutazioni, lo studioso francese fornisce elementi di riflessione, analisi e pregevoli considerazioni di cui magari tener conto per raggiungere un’intesa sulla riforma della legge elettorale.
Salvatore Carrano
31 agosto 2012