Inaspettatamente, a distanza di alcuni giorni da una nostra spassionata conversazione telefonica casualmente scivolata su temi di attualità e politica, dal mio interlocutore estero ho ricevuto questa mail:

“……….. Sai ……., ho sempre pensato che i politici più in vista fossero anche persone di cultura e ho sempre creduto, inoltre, che i più potenti fossero anche i più abili, i più bravi, e che senza conoscenza non si potesse arrivare a posizioni di vertice in politica. Ma mi convinco sempre più che il legame tra la politica e il sapere si sia ridotto a una relazione di dipendenza di un consulente che presta la sua opera alla politica come un tecnico stipendiato.

Penso che la mia gente di potere non sappia che farsene della conoscenza, e i politici celebrano piuttosto che tutelare e promuovere; leggono i social e non i giornali; cinguettano invece di far leggere in prima pagina “riceviamo e volentieri pubblichiamo”; sul comodino hanno un taccuino e non l’ultimo saggio pubblicato dal premio nobel sull’economia; citano Ronaldo e non Marcuse; hanno tra i collaboratori più stretti un esperto di cyberspazio, un “acchiappa followers”, e non uno specialista di discorsi che scrive frasi che segnano la storia; non hanno un sogno, ma un obiettivo di carriera; confondono la storia con le storielle da raccontare ai telespettatori; pretendono di difendere il prestigio della nazione eccependo sulle libertà civili; distolgono i cittadini dalle reali esigenze e dalla ponderazione spettacolarizzando i casi di cronaca; non hanno nobili ideali.

Come definizione, ho trovato che gli ideali sono qualcosa di utile a cui poterci ispirare per realizzarci, ma, nello stesso tempo, sono un ostacolo quando questi ideali ci fanno sentire inferiori e inadeguati e ci fanno perdere tempo inutilmente. Ebbene, il gran numero dei politici di adesso ha sposato appieno solo la seconda parte di tale definizione e ha così deciso di calpestare, ignorare, liberarsi – come fossero una zavorra – di residui sterili ideali, o al limite distorcendoli per utilizzarli in una retorica finalizzata al mantenimento e all’accrescimento del potere.

I vertici della politica e l’elite della cultura e del sapere sono divisi, nella classe dirigente le persone di scienza e di cultura non sono alla pari; sembrerebbe che queste ultime siano utilizzate, pagate per servire e documentare, ma non per decidere, progettare o proporre. La conoscenza è solamente uno strumento da utilizzare per giustificare e legittimare decisioni di potere prese quasi con arbitrio, impudentemente, dai politici. E mi viene così da pensare che anche questo servire non possa essere fatto liberamente. C. W. Mills afferma in un suo scritto che “L’uomo di scienza, come tanti altri in questa società, dipende anche lui, per la propria sussistenza, dall’impiego, che è oggi la prima sanzione di controllo del pensiero…… Quando l’andare avanti è condizionato dalle buone opinioni di coloro che sono i più potenti, il loro giudizio diviene il primo oggetto di interesse”, e allora c’è il sospetto che si sia governati, amministrati e guidati da una cricca di potere che formi, plagi e addomestichi menti e consenso con i mezzi di comunicazione e l’impiego servile e retribuito degli intellettuali.

Decisioni importanti, programmi di sviluppo per la nazione e complesse riforme, vengono approvate senza un’adeguata discussione e senza essere sottoposte a un’attenta valutazione da parte di intellettuali indipendenti e capaci. Si affida il consenso sui provvedimenti adottati ad associazioni amiche che, attraverso una studiata comunicazione persuasiva, supportano e presentano le decisioni politiche con slogan a effetto e prosaiche considerazioni lanciate a far presa sulle aspettative di categorie sociali deluse, arrabbiate o irragionevolmente ostili a qualsiasi adeguamento alla modernità dei tempi, all’emancipazione e al progresso.

Aggressivi, sferzanti e, a convenienza, avversi a ruoli e istituzioni, i politici fondano il potere attrattivo praticando la comunicazione invettiva che calamita, non solo poveri, disagiati e meno abbienti, ma anche quei nuovi benestanti che aspiravano a una promozione sociale che non hanno avuto, e che divenuti facoltosi, non hanno ancora ricevuto in pari autorevolezza e considerazione che a loro avviso pensavano che meritassero la loro ascesa e la loro ricchezza, e che invece non sono arrivate. E quando si aspetta qualcosa che si pensa che sia dovuto, a lungo andare, la delusione esaspera, inasprisce, e si viene attratti dalle catilinarie.

Niente del passato serve alle convinzioni dei governanti e alla loro propaganda politica, e il loro futuro è il presente, l’immediato e le imminenti consultazioni. Altro tempo non esiste, “la Storia sono loro” e il resto non conta.

“La cosa più sconcertante” per dirla ancora con parole di C. W. Mills “è il fatto che questi uomini sono al di sotto del livello al quale potrebbero provare un sentimento di vergogna per la propria povertà culturale e spirituale, e che nessun pubblico intellettuale cerchi, con le proprie reazioni, di suscitare in loro un sentimento di disagio morale”.

Ormai i politici non lottano per il consenso sull’approvazione di un programma politico ambizioso, articolato e lungimirante, più agevolmente difendono il loro operato e approvano piccole concessioni (più spesso si limitano alle sole promesse) alle categorie sociali o ai lavoratori che di volta in volta scelgono di rappresentare. Tante promesse, qualche contentino, mai, però, dare tutto di quanto richiesto; creerebbe nuove aspettative e, soprattutto, sposterebbe il consenso sugli avversari. Ai politici non interessa essere ricordati per i meriti; è importante il successo, la rielezione, la carriera.

Non mi resta che prendere atto che qui, da un po’, il modello dominante e più diffuso in politica, non ha niente del “Ritratto del perfetto candidato” di R. Bendiner che “Per due legislazioni è assorbito dal suo ufficio, e la sua amministrazione funziona come la migliore delle aziende, è più morale di una parrocchia, vi spira la cordialità di una famiglia. Il suo volto esprime unità come quello del più specchiato dirigente d’azienda, i suoi modi sono spontanei come quelli del migliore agente di commercio: ha in sé qualcosa di entrambi, con in più un tratto e una comunicativa tutti suoi. E tutto ciò giunge direttamente fino a noi, quasi magneticamente attraverso le telecamere e i microfoni della radio.”

Che mai il potere diventi così anche da voi!

Augurandoti ogni bene,  …………………”

Dovrò rispondergli, ma per ora non so ancora che cosa scrivergli.

16/10/2021

Salvatore Carrano