“Roma che pareva destinata a diventare il centro di ogni attività sociale, economica e politica e che invece è naufragata nel suo levantinismo”. La storia si ripete? Ancora una volta “il fatalistico assopimento morale, civico e sociale, l’utilitarismo frivolo e spregiudicato e il culto esclusivo della furberia” possono essere le principali cause di un lungo periodo, oscuro e disagiato, caratterizzato da pesanti ristrettezze e disgreganti tensioni interne. Rischiamo un nuovo medioevo per colpa di chi?

Sicuramente i governanti hanno contribuito in maniera determinante al decadimento morale ed economico, ma non avrebbero potuto farlo da soli in uno stato dove “la sovranità appartiene al popolo”, salvo che i cittadini, attraverso l’ obnubilamento della coscienza, il vivere in un perpetuo stato d’inerzia e di apatia, l’accettare passivamente rassegnandosi o magari compiacendosi di aver votato e vinto, non avessero concesso ai politici una delega in bianco. In più, qualunquismo e agnosticismo, parenti stretti di un cinismo strumentale e di interesse, sarebbero serviti a svendere il consenso popolare per l’ottenimento di un privilegio – personale o di categoria – che avrebbe reso gli individui assoggettati, complici e indolenti.

È pur vero che molto spesso bisogni e aspirazioni sono indotti e manipolati ad uso e convenienza dei poteri, ma la democrazia non ammette ignoranza e un cittadino deve almeno saper distinguere l’illusione dalla concretezza e l’inganno dalla franchezza. Inoltre, il conferimento di un potere arbitrario e discrezionale è nettamente in contrasto con la democrazia e, quindi, non andrebbe mai concesso. Se non va bene che i politici contravvengano alle leggi, è ancor peggio che il popolo ne resti indifferente o addirittura, con un laconico così fan tutti, ne minimizzi o giustifichi malefatte e rubamenti.

Sembra inverosimile: la gente comune è dominata, oppressa, raggirata ed è anche colpevole? Purtroppo sì, ed è alquanto semplice dimostrare il perché. L’utilitarismo può essere inteso come tutto ciò che contribuisce alla felicità dell’essere umano e, ogni azione utile a perseguirla, è lecita e giusta. Tuttavia, il perseguire la felicità singola deve essere immediatamente interrotto, qualora limiti o danneggi il bene dell’intera società. Se chi esercita l’azione,  ricorrendo magari all’inganno e all’inerzia dei cittadini può camuffare un bisogno individuale o di “casta”, come una necessità sociale o un’emergenza universale, l’utilitarismo diventa spregiudicato e il “culto della furberia”, l’immorale strumento per l’attuazione. L’attuale legge elettorale, l’annunciata riforma della giustizia e le corporazioni, sono alcuni esempi tangibili della degenerazione dell’utilitarismo. Tanto più si allenta il controllo da parte dei cittadini (l’assopimento), più sfrontato e dissoluto diventa l’uso del potere da parte dei politici.

Il porcellum è quanto di più perfido e spudorato abbiano mai realizzato dei governanti liberali. Tale meccanismo non solo è rivolto contro gli interessi della collettività ma, ed è questo l’aspetto più impudente, esautora gli elettori da ogni possibilità di scegliersi il proprio rappresentante e, quindi, di sindacare, di fatto, l’operato dei parlamentari. Le stesse corporazioni, intese ormai esclusivamente come “associazioni che cercano con tutti i mezzi di salvaguardare i propri interessi e i privilegi acquisiti”, sono congreghe monopolistiche rivolte a tutelare gli associati a scapito della qualità e del costo del servizio offerto.      

Assegnando il ruolo di chi compie l’azione (approva le leggi) al Parlamento e il potere di verifica dell’utilità  al popolo, è evidente che, in Italia, l’agire dei politici è stato del tutto indisturbato e spesso anche masochisticamente condiviso. Il cittadino comune deve assolutamente esercitare le sue funzioni, altrimenti causa uno squilibrio di poteri e trasforma una democrazia in un’oligarchia; sarà poi inevitabilmente costretto a subire le prevaricazioni degli stessi poteri che giustifica, tollera o indulge.  Come dire: “chi è causa del suo mal pianga se stesso”. La sovranità, cioè la prerogativa di compiere le scelte politiche che riguardano l’intera comunità, appartiene al popolo, rimetterla ad altri è riprovevole e soprattutto sconveniente (in ogni significato) perché trasforma una classe politica in una potente corporazione, che non rappresenta più la volontà degli elettori, anzi se ne distacca e, contrapponendosi, accresce i suoi benefici proprio a danno degli stessi deleganti.

Il rispetto del consenso popolare e la doverosa deferenza nei confronti della partecipazione ragionata e propositiva del popolo, inducono i parlamentari ad approvare una legge solo quando degli interessi particolari si traducono in vantaggi e miglioramenti generali. Passi pure una riforma previdenziale che lascia intravedere un futuro meno incerto per le nuove generazioni, ma si respingano leggi che si prefiggono il prioritario scopo di assolvere e legittimare imbrogli, frodi e illeciti d’ogni natura.

Ai governanti andrebbe continuamente rammentato che lo Stato è il popolo e i politici sono solo il mezzo per rappresentarne la volontà. I cittadini, dal canto loro, non dovrebbero mai obliare che la democrazia non si compra, non si importa e il mantenimento non  si esercita per procura.

Salvatore Carrano

Maggio 2012