Prima di andare a letto conviene dire una preghiera per il popolo tedesco: se stanno bene loro, ce la passiamo bene anche noi, certo uno “spread” di meno, ma il loro benessere condiziona anche il nostro. E se lo spread è alto? In tal caso il nostro stare bene diminuisce rispetto al loro. Più lo spread è basso e più il nostro benessere si avvicina a quello della Germania fino a eguagliarlo in caso di valore nullo. Il benessere al quale mi riferisco è quello economico e gli interessi sul debito pubblico, sottraendo risorse al bilancio dello Stato, lo fanno calare.

Giuseppe Di Gaspare, professore ordinario di diritto dell’economia presso la LUISS, nel saggio “Anamorfosi dello spread” sostiene però che il costo del debito dipende principalmente dalle speculazioni sui tassi di cambio e sui tassi del debito statale mentre “lo spread, come parametro di raffronto, è fuorviante per valutare l’andamento del debito, ci dà solo un differenziale, stabilisce una correlazione tra due variabili ma non ci spiega da cosa, in definitiva, entrambe le variabili sono influenzate”.

Le cause della variazione dello spread, in positivo o in negativo, sono legate alla dinamicità del governo, alla crescita del debito e al rapporto debito/Pil e, qualora questi fattori critici non fossero soddisfacenti, lo spread dovrebbe aumentare. Invece, questo non è successo; difatti, secondo Il prof. Di Gaspare, all’inizio del 2013, pur con un governo Monti dimissionario, un debito in aumento e un peggioramento del rapporto debito/Pil, lo spread scendeva. Nonostante che in Germania la Merkel rafforzasse la sua leadership e l’Italia fosse ancora una volta alla ricerca di una soluzione di governo, lo spread si riduceva. E si è ridotto fino a violare il supporto (per dirla con l’analisi tecnica) dei 150 punti con un Renzi che offre sì al contesto internazionale un’immagine più affidabile in quanto a  governabilità, ma non frena la corsa del debito e non migliora il rapporto debito/pil.

Lo spread è calato perché l’indebolimento della valuta americana, in atto dall’autunno 2012, ha spinto la massa di liquidità internazionale a investire sui titoli di stato europei emessi con  un tasso più alto rispetto a quelli USA.  Quando la domanda dei titoli sale, in base alla più elementare regola di mercato, il loro rendimento scende.

Una valuta forte ha ridotto il costo degli interessi sul debito per tutti i paesi dell’area euro, ma non nella stessa quantità; la Germania ne ha beneficiato in misura minore perché si è trattato di una riduzione proporzionale vincolata al valore di partenza. Il tasso sui bund tedeschi, essendo il più basso della zona euro, ha potuto avvalersi, quindi, di una minore diminuzione rispetto ai tassi sui titoli italiani o spagnoli. Questa disparità di calo in valore assoluto spiega perché si è verificata una riduzione dello spread con la Germania quando stabilità politica e crescita economica dei tedeschi erano in rafforzamento rispetto agli altri stati dell’Unione.

Gli interventi della BCE a sostegno della crisi del debito negli stati dell’eurozona, allontanando il rischio default, hanno inoltre indotto gli investitori a scegliere i titoli più convenienti nel rendimento senza troppo considerare le valutazioni di rating e l’aumento della domanda per i titoli meglio remunerati è stato un altro fattore che ha causato la diminuzione dello spread. “L’essere alto” è la causa della sua stessa riduzione: tanto ovvio quanto geniale.

I possessori di grandi liquidità investono in titoli con alti rendimenti e l’operazione ne determina, di conseguenza, il calo successivo. Nel frattempo un altro stato con un debito da rinnovare è costretto ad aumentare i tassi per attrarre sottoscrittori e così la liquidità da incassare per i titoli in scadenza ha già pronta una pari redditizia destinazione. Un meccanismo semplice e lucroso per gli speculatori, ma estremamente gravoso per gli stati che vedono crescere enormemente la loro spesa per interessi. Riconoscendo la prevalenza delle cause speculative esogene rispetto a quelle politico economiche endogene, conduce, evidentemente, ad un ricettario diverso per uscire dalla crisi che mette in prima linea il contrasto della speculazione finanziaria”. 

Ed è questo il punto di partenza obbligato per ridurre il costo per interessi sul debito: lo sforzo comune dei paesi UE a contrastare la speculazione finanziaria.

Se il tasso sul debito non risente delle cause speculative e resta sotto controllo al valore più basso possibile, la preghiera notturna per la Germania diventa superflua e semmai occorre, per abbattere lo spread o diventare addirittura primi della classe, capire i processi che rendono i tedeschi virtuosi ed emularne i comportamenti. Oppure, e sarebbe la soluzione definitiva, l’Europa dovrebbe diventare un’unica nazione, non solo con un’unica moneta, ma con un unico debito e un unico governo.

Lo spread non potrebbe più esserci e sarebbe molto più agevole combattere la speculazione finanziaria.

Salvatore Carrano

28 luglio 2014